Alla fine dell’aprile 1975, le ultime truppe americane lasciavano precipitosamente Saigon, ormai in mano, come il resto del Paese, alle forze comuniste. A quarant’anni dalla fine della guerra in Vietnam, il Bari Film Festival ha organizzato alla Casa del Cinema di Villa Borghese a Roma la rassegna, Gli anni del Vietnam / 40 anni dopo. Una selezione di film curata da Giandomenico Curi, per ricordare che il conflitto nel Sud-est asiatico è stato diverso da tutti gli altri per le vittime che ha fatto, per la durata infinita, per la grande eco che ha avuto in tutto il mondo, ed infine per aver segnato la presa di coscienza di un diverso ruolo dell’informazione, rispetto alla guerra e, più in generale, rispetto alla politica.
In sostanza come scrive Marshall McLuhan il Vietnam è la “prima guerra televisiva”, dove lo spettatore partecipa “ad ogni fase della guerra, e le azioni principali vengono combattute in ogni casa americana”. Eppure mentre i salotti degli statunitensi erano inondati di immagini televisive che mostravano la vita al fronte, con tutte le sue tragedie, ad Hollywood, le major mostrano una certa riluttanza a cimentarsi con un tema politicamente scottante che aveva spaccato in due la società americana tra pacifisti e interventisti del conflitto.
E' un fatto che i maggiori film sul conflitto vietnamita siano stati realizzati solo dopo il disimpegno militare americano. Una copiosa produzione di almeno un'ottantina di film che hanno contribuito alla nascita di un vero e proprio filone, di un sottogenere del film di guerra. Appartengono ai Vietnam movies film come The Deer Hunter (Il cacciatore) di Michael Cimino del 1978 e Apocalypse Now di Francis Ford Coppola del 1979, ma anche Casualties of War di De Palma e Full Metal Jacket di Stanley Kubrick, entrambi del 1989, la trilogia di Oliver Stone, composta da Platoon (1986), Born on the 4th of July (Nato il 4 luglio, 1989) e Heaven and Earth (Tra cielo e terra) (1993).
Un cinema che nella maggior parte dei casi, sull’onda di un ritrovato patriottismo creato dalla presidenza Reagan, assume le fattezze dell'opera di regime, propagandistica, militarista, roboante, gonfia di retorica dove il Vietnam non è più una ferita che bisogna rimarginare in fretta, bensì un episodio glorioso in cui i soldati americani si sono fatti onore.
Così dopo decenni in cui la versione dei fatti degli sconfitti ha monopolizzato l’immaginario collettivo, negli Stati Uniti e non solo, la rassegna diventa un’occasione per offrire al pubblico una prospettiva diversa attraverso i film realizzati dagli stessi vietnamiti e i documentari di contro-informazione del movimento americano e globale. Come Il cielo e la Terra, del regista francese Joris Ivens, che alla guerra vietnamita ha dedicato gran parte della sua vita e del suo cinema. Girato nel 1965, il documentario si rivela un autentico reportage di propaganda, girato con operatori locali, a favore della lotta del popolo vietnamita contro gli aggressori americani.
Ancora i documentari, in gran parte inediti, del cubano Santiago Àlvarez che colgono senza retorica la vita quotidiana del popolo vietnamita e del suo presidente, Hi Chi Minh, leader in tutte le lotte anticolonialiste.
E mentre in Italia il cinema di protesta contro il conflitto americano aveva un fascino doppio, “Perché – come dice il leader della sinistra Oliviero Diliberto – rappresentava la lotta d’indipendenza di un popolo e un partito comunista che aveva con i comunisti italiani un rapporto solidissimo”, nel Vietnam si producevano film soprattutto istruttivi, didattici, che insegnavano come vivere sottoterra, perché qualsiasi tipo di vita normale all’aria aperta era ormai diventata impossibile, come installare una trappola, come riciclare una bomba dell’aviazione americana rimasta inesplosa, come curare i feriti. Nonostante l’inevitabile retorica, il cinema vietnamita rivela un’altra verità, quella di un popolo che non si piangeva addosso, ma determinato a combattere per la propria indipendenza dal colonialismo e dall’imperialismo.
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