ReligioniReligioni
Per Natale lasciamo che il Dio Bambino incendi d’amore un’umanità assonnata
Pandemia, lutti, paure, crisi economica e ambientale... Quando la tempesta del naufragio collettivo passerà, "ci sentiremo felici soltanto per essere vivi"

Representation of the birth of Jesus (pixabay)
Un paniere di parole
un fuoco cucciolo arde come neve a ustionare i pensieri
non è giocare al bambolotto il natale
è contare ferite dopo che occhi appena schiusi
hanno fatto solco nella tua terra di carne
Questi versi di un poeta a me anonimo possono aiutarci a celebrare un Natale veramente più autentico. Natale ha bisogno di piccole cose per essere l’incontro con il Bambino: il coraggio di pensare per ripensarci come donne, come uomini e come cristiani e il calore della tenerezza che riscalda esistenze e cuori con la discrezione, il silenzio e la delicatezza della neve che scende. Natale è lasciarsi accarezzare da quel «Dio disarmato che sonnecchia in un ciuffo di paglia» dinanzi al quale bisogna solo e liberamente arrendere pensieri e cuore, nostalgie e tristezze. Il Mistero di Betlemme è tutto qui: lasciare che quel Dio Bambino venga, con fiamme d’amore, a «ustionare i pensieri» di un’umanità assonnata, pigra e individualista; è inquietudine d’amore, d’autenticità, di risveglio perché il nostro Dio si è fatto uomo e non un «bambolotto» usa e getta; Betlemme è «contare ferite» (pandemia, relazioni segnate, lutti, crisi economica, ambientale, paure…) lasciando che gli occhi di Gesù scavino nella nostra carne, fragile e ferita, santa e trasfigurata, per tracciare solchi di fecondità, futuro e speranza. Natale sia per ciascuno rinascita e riscoperta della bellezza così cantata dall’intramontabile Alda Merini: «La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta». Ma Betlemme è anche Speranza, quella Speranza che regge da sempre il mondo e l’umanità:
Quando passerà la tempesta
e le strade si saranno placate
e saremo i sopravvissuti
di un naufragio collettivo,
con il cuore in lacrime
e il destino benedetto
ci sentiremo felici
soltanto per essere vivi.
E daremo un abbraccio
al primo sconosciuto
lodando la fortuna
che c’è ancora un amico.
E poi ricorderemo
tutto quello che abbiamo perduto
e finalmente impareremo
tutto ciò che non avevamo mai imparato.
E non invidieremo più
perché tutti hanno sofferto.
E non saremo inerti
ma più compassionevoli.
Ciò che appartiene a tutti varrà di più
di tutto quanto ci eravamo procurati.
Saremo più generosi
e molto più coinvolti.
Capiremo quanto sia fragile
essere vivi.
Suderemo empatia
per chi c’è e per chi se n’è andato.
Ci mancherà il vecchio
che chiedeva un euro al mercato,
non ne hai mai saputo il nome,
eri sempre di fretta.
E tutto sarà un miracolo
e tutto sarà un patrimonio
e rispetteremo la vita,
la vita che abbiamo guadagnato.
Quando passerà la tempesta
ti chiedo Dio, con vergogna,
di rifarci migliori,
come ci avevi sognati.
(Alexis Valdés)