La regista milanese Alina Marazzi ha accompagnato ad Oxford il uso ultimo film Tutto parla di te proiettato presso il Taylor Institute dell’Università di Oxford.
Il film, che vede protagoniste due note attrici, Charlotte Rampling e Elena Radoninich, racconta del tragico stato della depressione post-parto. Una tematica che viene alla ribalta nelle pagine di cronaca nera dei media, ma la cui riflessione é il piú delle volte negletta.
Il fim intreccia elementi di narrazione romanzata a riprese documentaristiche incorniciate da un narrare poetico che ben si concilia con il tema della maternità.
Ad offrire l’opportunita di parlare di depressione post-natale é il passato della vita di Pauline (Rampling) che tornando a Torino, sulle orme della sua infanzia si incontra con Emma (Radoninich), giovane madre alle prese con il suo infante Matteo. Grazie ad una capacità empatica, Paoline riesce a leggere nei tristi sguardi di Emma una sofferenza che lei sembra conoscere. Emma, dopo la nascita del figlio, cade in uno stato di depressione vedendo messa in crisi la sua identità professionale di danzatrice.
A dar voce ai pensieri di Emma sono le testimonianze delle molte donne intervistate dalla regista: maternità, depressione, paranoia, fino alla testimonianza di infanticidio. Le immagini sono accompagate da una colonna sonora magistralmente adattata al tema ad opera di Domink Scherre e i Ronin. Ma un particolare merito va attribuito alla sensibilità della regista per aver sostituito, talvolta, i silenzi con il perforante pianto del neonato, come colonna sonora; un pianto inatteso e abbandonato alla sua solitudine. La stessa solitudine in cui spesso le donne-madri vendono lasciate. Una solitudine che inconsapevolmente dalla madre viene proiettata sul neonato.
Solo al termine del film, Emma trova il coraggio di vestire la sua nuova condizione di madre con uno spirito diverso grazie all’aiuto offerto da Paolette. É Paolette a rivelare ad Emma il segreto che percorre e colora tutto il film: l’infanticidio di suo fratello per mano di sua madre. Paolette sembra rivivere, attraverso le sofferenze di Emma, le stesse angosce vissute dalla madre e nel processo di riconciliazione con la figura materna trova in Emma una opportunità per offrirle il frutto della sua esperienza elaborata.
Un film, questo, sostenuto da lunghi silenzi che lasciano molto spazio alla meditazione. Il pensiero inevitabilmente si sposta verso la condizione della “donna in stato interessante” come descritta nel film. Una terminologia che sa di antico, ma che significativamente rievoca il profondo senso della maternità. Questo concetto viene nel film sottolineato dalla figura maschile benevola di Valerio, amico e collega di Emma. É Valerio che cerca di convincere Emma che avrebbe potuto “portare il pensiero del figlio nella sua danza”. Un modo figurato per descrivere come la maternità puó essere vissuta come condizione che aggiunge valore alla nostra vita. Il figlio, quindi, come una nuova dimensione di vita verso la ricerca della creatività. Una creatività che matura appunto dall’incontro delle contraddizioni che la donna si trova a vivere sin dal momento del concepimento.
Un film dal contenuto drammatico, ma con un lieto finale, con cui la regista sembra voler porgere un ringraziamento a tutte le donne-madri che assicurano il perpeturasi del ciclo della vita.
A Oxford La VOCE ha approfittato della presenza della regista per scoprire di piú sul film.
Lei come regista non é nuova alle tematiche sulla condizione della donna. Come spiega questo interesse?
É vero, ho filmato nel 2002 Vogliamo anche le rose dove delineo la figura femminile come prodotto della liberazione sessuale. Nel 2007 nel lungometraggio Un’ora sola ti vorrei cerco di rivivere, attraverso la raccolta di home-films, l’immagine di mia madre morta prematuramente. Un film autobigrafico in un certo senso.
In questo suo ultimo film nell’analizzare le problematiche della figura materna lei non la contrappone alla figura maschile. Anzi Valerio, l’uomo piú importante del film, é una figura positiva. Quale vuole essere il suo messaggio?
Volevo comunicare che la depressione post-natale non é una condizione di sofferenza della donna dovuta alla vicinanza di un compagno negativo o all’assenza di un partner. Mentre io stessa intervistavo queste donne, i loro compagni o mariti erano attivamente presenti: aiutavano per esempio nella cura dei figli quando la madre era occupata con le riprese.
Quindi lei sottolinea che le ragioni della depressione post-natale sono da ricercarsi altrove e non nel rapporto di coppia?
Sì esattamente, nel film faccio citare alla Charlotte Rampling il concetto di solitudine nella quale la sua madre filmistica era venuta a trovarsi prima di commettere l’infanticidio. Ma quella non é una solitudine dovuta alla carenza di persone intorno a te, é invece una solitudine molto piú profonda, molto interna; quella che ci fa sentire soli anche in compagnia. é questo che caratterizza la depressione post-natale; una solitudine difficile da colmare.
Guarda il trailer di Tutto parla di te:
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